Mai mi era capitato di entrare nello studio di un pittore.
Definirlo tale forse é fuori luogo, perché più appropriato sarebbe parlare di nascondiglio o rifugio.
Perché un po l’artista lascia la realtà e fugge nel suo lavoro, si isola, si emargina, o forse meglio ancora si astrae, e si innalza al di sopra di tutto.
Da mesi cerco l’immagine perfetta per la copertina del mio prossimo romanzo, qualcosa di particolare, unico e tale da essere il vestito per le mie pagine.
L’invito a varcare quella soglia giunge al momento giusto, e con emozione accetto impaziente, già correndo con la fantasia ed immaginando di trovare, tra gli inediti di questo artista scomparso da poco, l’immagine perfetta.
Mi accolgono moglie e figlio di Valentino, questo il suo nome , quasi più emozionati di quanto lo sia io.
“Valentino trascorreva gran parte della giornata qui! Da quando é mancato siamo entrati si e no tre volte, e anche quando, non abbiamo mai toccato nulla.”
É il figlio a parlare, mentre apre la porta di una cantina nel retro scala di una palazzina fine anni settanta.
“Valentino era geloso dei suoi dipinti, e non amava essere disturbato mentre lavorava”.
Continua la moglie con un velo di commozione, la ferita per la scomparsa é ancora aperta.
La porta si apre, e la luce di tre lampadine a penzoloni, presenta alla vista uno stanzino arredato da un piccolo tavolo quadrato al centro, una vecchia lunga credenza su un lato, e mensole che riempiono tutte le pareti intorno. Tele e tavole sono riposte ovunque in quantità indefinita.
Il mio sguardo si perde alla ricerca di qualche immagine particolare, che mi catturi al primo colpo.
Ma é uno sforzo inutile, perché non faccio altro che vedere volti di donna e nudi.
Comincio a scattare foto delle prime tavole, pensando di trovare nell’obiettivo della macchina quello che i miei occhi non hanno carpito.
Mi rendo conto che il figlio dell’artista, uno dopo l’altro, li sta delicatamente mettendo in posa sotto la luce di una delle lampade.
Sono modelle, nude, dai piedi piccoli e corpi bellissimi, oppure volti femminili riflessivi con sguardi nel vuoto.
Scatto e scatto, e mano a mano che mi sposto nei pochi metri mi avvicino alla postazione in cui l’artista passava le sue ore. Sul trepiedi sta ancora una tavola incompleta. Appoggiata la tavolozza dei colori, ricavata da un legno pressato e una tazza con i pennelli ancora intrisi, i pennelli di Valentino.
L’ aria é intrisa di un misto di polvere e odore di colori ad olio e il tempo sembra davvero essersi fermato.
Ci stiamo muovendo come se da un momento all’altro potesse affacciarsi a quella porta e chiederci cosa stiamo facendo. Tanto é ancora vivo il suo spirito in quelle immagini.
Mi fermo qualche istante, é trascorsa un’ora, fatta di scatti continui, e non siamo nemmeno a metà.
Provo a pensare a quell’uomo, seduto, mentre dipinge le sue opere.
Immagino cosa potesse vivere immerso nel suo mondo.
Fantastico sulle pennellate, che colpo dopo colpo, divenivano creature viventi, immortalate per l’eternità.
Provo a mettere a confronto le sensazioni che vivo mentre scrivo, mentre i personaggi dei miei romanzi prendono a vivere di vita propria e io mi scopro spettatore e cronista delle loro vicende.
Immagino Valentino osservare nel suo mondo queste figure farsi vive, e per qualche istante riesco a percepire una meravigliosa sensazione.
Il lavoro continua e dopo un’altra ora è mezza chiudo la macchina fotografica.
“Non li abbiamo mai contati, ed é la prima volta che vengono fotografati”.
É il figlio quasi a giustificarsi per il tempo necessario alla visita di quei pochi metri quadri, mentre mi accompagna alla macchina.
Sono giunto un pomeriggio per trovare un’immagine speciale e ho trovato un mondo meraviglioso fatto di oltre quattrocento opere inedite.