Si resta basiti nel leggere ed ascoltare i servizi giornalistici di questi ultimi giorni.
L’aumento del prezzo del carburante ormai da tempo non fa più notizia, così come l’ultima accisa per finanziare la protezione civile ci ha lasciato ai soliti commenti amari.
Come non rattristarsi per il grande numero di suicidi dovuti all’attuale situazione economica?
Sembra paradossale pensare a come le parti sociali si siano impegnate nell’ultimo decennio per aumentare la pressione sulla sicurezza in ambito lavorativo, portando ad una rilevante diminuzione delle cosiddette morti bianche, e ora si debba combattere con lo spettro del suicidio per crisi.
Quanti costi sono stati sostenuti per formare operai e imprenditori sulle norme basilari per avere un cantiere ed una postazione di lavoro che non potesse costituire in alcun modo pericolo per il lavoratore.
Non parliamo dei costi sostenuti, giacché, come di consueto, ogni iniziativa, fatta anche a fin di bene, diventa fucina per strutture atte a spremere fino all’ultimo fondo messo a disposizione.
Dunque oggi che l’Italia potrebbe dire di aver debellato almeno culturalmente il pericolo degli infortuni sul lavoro deve affrontare un nuovo grave morbo.
Il clima di profonda crisi, le tensioni accumulate negli anni, la previsione di un prossimo futuro fatto di aziende subissate dai debiti, imprese al collasso, mercati immobiliari congelati, immobili oltremodo tassati, porta al crollo di ogni velleità di rilancio.
Ed è così che qualcuno getta la spugna, non resiste all’onta dell’umiliazione di veder crollare quanto costruito con sacrifici e in un ultimo impeto d’orgoglio mette la parola fine ad un esistenza ormai annullata.
È terribile quello che sta accadendo.
Siamo spettatori impotenti di una selezione naturale che anziché partire dall’evoluzione prende le mosse dall’economia al collasso per autodistruggerci.
Il paradosso di tutto questo meccanismo autolesionista è leggere come per contrappeso a quanto alcune realtà vivono, vi sia un modo fatto di balocchi, fondi milionari, lingotti d’oro, diamanti, feste da mille e una notte, e perché no, spensierate gare di burlesque.
E pensare che per tutti noi c’è stata una fase in cui ora per l’uno, ora per l’altro, abbiamo nutrito fiducia e riposto speranze.
Sì, ammettiamolo, nei partiti, nei loro programmi, nei leader talvolta carismatici abbiamo riposto il desiderio di un futuro migliore.
Chi più, chi meno è vissuto nell’utopia che ogni governo portasse dei cambiamenti, per lo meno fosse reale portavoce della parte di popolo che rappresentava. Ma la realtà a quanto pare non è così e, pur con tutta l’amarezza del caso, dobbiamo ricrederci.
Ritorna l’antica massima: “homo homini lupus” perché in fondo non sono le ideologie a distruggere, ma gli uomini.
Al solito la smania di potere, l’avidità di ricchezza fa sì che si cada nelle maglie di una rete che si pensava fosse già stata abbondantemente riempita con la classe politica della prima repubblica.
Quante parole spese a parlare di rinnovamento, futuro fatto di nuove facce, di nuove energie, dove l’interesse primario fosse per il paese.
Al solito, parole al vento.
Solo che ora il tempi sono molto diversi e il benessere di quei lontani anni novanta é ormai cosa dimenticata.
Ora la disparità e i danni creati da questa politica egoista e sconsiderata sono vite umane, di persone che veramente hanno fatto della loro esistenza un darsi agli altri costruendo imprese, dando lavoro a famiglie, sacrificando ogni giorno pensando a costruire un futuro.
Un rispettoso ultimo saluto a chi é andato.
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Ciao Andrea, vorrei commentare con la tua capacità di scrittore, mi limito a dirti bravo, hai azzeccato in pieno il problema degli italiani, in fin dei conti era proprio lui la principale causa. Ti saluto. Giuliano